Dipinti come fossero pagine di un diario lirico, segreto

Infiniti modi sono stati ideati nel corso dei secoli, in arte, per testimoniare altrettanto innumerevoli rapporti di interdipendenza creativa dell'uomo con la natura esterna.

Iiascuna epoca della storia, le diverse culture che si sono succedute con distintivi caratteri di autonomia, hanno sempre manifestato lo stato di conquista mediante rappresentazioni di oggetti o figure singolari, eletti a soddisfare la premessa teorica secondo cui il regno della natura naturale sensibile si rivela in tutta la sua pienezza, fonte inesauribile di ispirazione, nel segno mimetico della qualità.

Natura come stato esistenziale; in essa si addensano paesaggi di diversa costituzione; contenitori spaziali, campi operativi, aree astratte: realistici o immaginari simbolici o analogici; scoperte o sottintese metafore di quei tracciati lasciati dalla presenza umana sui quali l'artista annoda e costruisce i propri tappeti visivi. Infiniti modi, dunque, di esaltare nel paesaggio la libertà delle immagini, così come si rappresentano, con la conoscenza e la consapevolezza di un personale vissuto quotidiano.

Esercizio, questo, affidato alla facoltà compositiva dell'ingegno artistico che sa armonizzare linee, volumi, colori, conferendo loro, di volta in volta, precise significazioni.

In questa direzione opera Pietro Camozzi.

La sua pittura è canto libero; la tessitura richiama la bella tradizione trentina, così antica e moderna insieme, mista di verità e di favola, che ingentilisce e filtra contemplazioni ed emozioni assai prossime a certi dolcissimi racconti, come si leggono, ad esempio a commento dei "mesi", nella quattrocentesca Torre dell'Aquila, nel Castello del Buon Consiglio, a Trento. Pittura non mai compromessa alla vanità o all'effimero di tendenze intellettualistiche; ripulita dagli schemi arbitrar! delle mode, da inquinamenti culturali distrattivi o stravaganti.

Genuina, invece, come acqua di fonte; una pittura che si fa paesaggio nel paesaggio, atmosfera nell'atmosfera, là dove non esistono tradimenti o sofisticazioni. Ecco, allora, configurarsi una realtà poetica che esala dalle corolle immalinconite dei fiori; arcadici silenzi che vestono di sottili nostalgie laghi, boschi, villaggi fatti di canne; casolar! umili, diseredati, dimore sbilenche da cui non sarebbe davvero impossibile veder uscire curiosi personaggi, vestiti in costume, affini a quelli che Shakespeare aveva accolto nel suo magico "sogno di una notte di mezza estate".

Davanti agli occhi del pittore trentino la natura estema delle cose ferma la propria diacronia storica; il tempo delle stagioni e delle età si arresta; un pudore straordinario agita i rami fasciati d'argento delle betulle e affronta refoli di vento imponendo fragili tessiture cromatiche, che sfumano nell'intimità incorruttibile del racconto interiore.

Tenui tonalità, come dissolvenze.

Sembrano quasi "aspettative di colore" per un telaio grafico predisposto dal pittore con certosina pazienza e infinito amore, specie nei dettagli; si omologa in certo modo, un fare, strettamente personale dell'artista, nei confronti dei modelli utilizzati e della loro storia.

Camozzi racconta; racconta analogicamente suscitando sensazioni e sentimenti che si de- cantano nella luminosità diffusa dei singoli dipinti; racconta le vicende degli alberi con la stessa accuratezza con cui illustra quelle dei modesti fiori di campo, addirittura delle festuche; sono espressioni di grande serenità visiva, e tuttavia rivelano al lettore attento, segreti risvolti psicologici, tradiscono sottili inquietudini, là dove immaginazione ed estro creativo denunciano nel paesaggio apparentemente pacificato, sempre nuovi, se pure discreti, leopardiani "sabati del villaggio".

Chimere, illusioni; il dì di festa; la banda del paese che suona, alternando i tocchi delle campane; costumi colorati, freschi di bucato, bianche corolle di pizzo che incorniciano il volto delle fanciulle in fiore; tutto ciò non si vede tisicamente sulle tele di Camozzi, ma lo si avverte, con vivace insistenza, come un preludio di calde estati, nelle campagne, sulle rive dei laghetti alpini, al limitare dei boschi. Si spande nell'aria profumo di essenze pregiate; si scrivono i "dipinti come fossero pagine di un diario lirico, segreto".

La pittura di Pietro Camozzi è questa, mi pare; non condivido definizioni che celebrano il paesaggio camozziano come una identità artistica in "stato di sublimità"; sono frasi banali, fuori di ogni significato linguistico.

Non fanno bene a Camozzi e al suo lavoro. Camozzi è un artista strutturalmente concreto, serio, sanò. Perché inventargli un abito assurdo?

Se n'è ben accorto un critico esperto come Luciano Bertacchini quando afferma che l'autenticità della sua pittura abita canneti leggeri, incontaminati dall'uomo, dove quest'ultimo si pone in "silenziosa attesa". Sono parole sensate, calibrate, intonate al genere rapsodico di una pittura, tutta controcorrente, che fa di Camozzi uno tra gli ultimi sensibili interpreti del realismo contemporaneo.



Umberto G. Tessari